Decreto sicurezza, l’ignobile inganno della paura

Tre anni fa – solo tre anni fa! – nel dicembre 2015 abbiamo presentato a Palazzo Spinola la prima edizione di “Al di qua del mare”, il libro che io insieme alle brave e giovani croniste di Repubblica Giulia Destefanis, Valentina Evelli ed Erica Manna, abbiamo scritto raccontando quella che si chiamava emergenza immigrazione, dopo l’estate della frontiera chiusa a Ventimiglia e dei migranti accampati sulla scogliera dei Balzi Rossi.

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Sì, è l’ora. Di ritrovare fiato e parole

Sta finendo un agosto che non dimenticheremo, noi a Genova in modo particolare, quello che ti stringe il cuore e lo stomaco. Il crollo del Ponte Morandi ci ha cambiato la vita, le emozioni, i ricordi: noi fortunati perchè non ci siamo passati sopra quella mattina, noi orfani della certezza dell’ultimo chilometro verso il casello che ti faceva dire “dai che siamo quasi a casa”, ma soprattutto privati di un segno talmente forte della geografia urbana e sentimentale, del vivere quotidiano che sappiamo bene che nulla sarà più uguale: perchè quel crollo ci ha tolto l’ultima innocenza, quella di sentirci sicuri nelle strade della nostra città, quelle di sempre. Anche queste, adesso, non ci sono più.

Così come non ci sono più le certezze che ci dava l’idea di vivere in uno stato di diritto, quello che sa essere punto di riferimento: abbiamo dovuto assistere, per vantarsi poi di avere tre milioni di like sui social, a chi vuole contrapporre il dolore delle vittime e degli sfollati di Genova al dolore dei poveretti eritrei, somali e siriani (tutte persone provenienti da paesi per i quali è già automatico il diritto d’asilo perchè teatro di guerre o di dittature) che sono stati tenuti ostaggio di un governo, su una nave italiana, una nave di quella sacrosanta Guardia Costiera che in questi anni abbiamo apprezzato, conosciuto, ringraziato anche.

E non abbiamo più – o abbiamo rischiato di non avere – neanche la certezza di sapere di stare dalla parte del giusto, dell’etica, della sensibilità, ma soprattutto della giustizia e del diritto perchè i cosiddetti valori non negoziabili – per me e per tanti, mi auguro ancora – sono diventati oggetto di derisione, chi è solidale è un idiota buonista, peggio ancora un radical chic con le ville e gli yacht. Un nemico.
Però è finita, e non solo per me, anche la stagione dello stare zitti, con questo agosto terribile. Quella del trovarsi forzatamente in difesa, attenti a schivare il prossimo colpo. I valori non negoziabili esistono, e sono quelli del rispetto, (delle donne in primo luogo: le violenze continuano a crescere, poco importa chi siano gli autori, nelle ultime 48 ore due immigrati hanno “pareggiato” con due allievi della scuola di polizia, italianissimi), della dignità delle persone, della giustizia giusta, della solidarietà, della crescita sociale, civile e culturale, del lavoro come valore fondamentale, di tutto quello che è stato sinistra, e che deve continuare ad esserlo. Non ho ricette, ma una sensazione: che dobbiamo stufarci in tanti, di essere presi in giro. Come diceva Cartesio: fare tabula rasa e ricostruire, con metodo. Per noi stessi, per Genova, per questo paese ridicoilizzato. Per i ragazzi e le ragazze che sono davvero i nostri figli, e non per modo di dire.

L’inaccettabile suicidio della città verticale

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Due funicolari, una funivia a cremagliera, otto ascensori pubblici. Un patrimonio unico nel panorama trasportistico, quello di Genova. Tanto da far parlare di una Città Verticale, oggetto di libri e convegni, con mirabolanti idee di nuovi impianti (rimaste sulla carta o in un file finito in un angolo del pc). Con il rituale riferimento nostalgico e orgoglioso al poeta Giorgio Caproni e al suo desiderio di andare in paradiso con l’ascensore di Castelletto. O invece l’ascensore di Montegalletto: l’unico a scivolare in verticale prima di agganciarsi in salita…un’attrazione turistica, visto che dalla Stazione Principe porta al Castello d’Albertis.
Ecco, cominciate a scordarvene. Continua a leggere “L’inaccettabile suicidio della città verticale”

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